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Intervista al chitarrista Paolo Sorci

Ciao Paolo, grazie per questa intervista e per il tuo tempo :)

Iniziamo subito: cosa resterà degli anni ‘80? :D

Eh, bella domanda!
Innanzitutto resterà la musica: melodie stupende, grandissime produzioni, il jazz rock (banalmente fusion)… il tutto devastato dai primi orrendi suoni sintetizzati… scherzi a parte… l’appiattimento sonoro dei primi synth era ammorbidito da brani che ancora oggi sono stupendi in qualsiasi arragiamento: Christopher Cross, Spandau Ballet, Duran Duran (qualcuno mi ucciderà per aver fatto questi nomi….). Alcuni brani mi sono veramente rimasti dentro.
E poi resterà l’ultima generazione di musicisti che hanno studiato e reperito musica senza youtube e internet… chi è nato come me negli anni 80 sa benissimo cosa voglia dire tirare giù un brano ad orecchio, senza tutorial o “aiutini”. Questo fa la differenza secondo me. Come anche il fatto di prendere un treno la domenica mattina a 17 anni e andare fino a Padova per comprare 1 (UNO) disco (il negozio era IL VENTITRE` e il disco in questione era HAPPY TRAILS dei Quicksilver Messenger Service.

Parlaci un po’ della tua storia come musicista: come nasce il Paolo Sorci chitarrista? Una chitarra trovata in soffitta da bambino?

Una chitarra trovata a casa di un amico che suonava tutto, e soprattutto la voglia di tirare il clarinetto dalla finestra. Lo suonavo da 3 anni e non mi usciva veramente niente di buono da quello strumento. Mentre sulla chitarra avevo sin da subito un approccio molto più fisico. Mio fratello più grande aveva una chitarra classica che non suonava più e avevo iniziato da solo a fare i primi accordi. Poi la Samick del mio amichetto vicino di casa mi diede a scossa. Se devo ricordare un momento scatenante però, il più importante fu quando mio cugino, cultore di musica rock con migliaia di vinili in casa, mise sul piatto LED ZEPPELIN III originale (con la copertina che ruotava) e partì immigrant song… Da li capii che il mio vero messia era Jimmy Page,

Dove ti sei formato didatticamente? Scuole di musica, conservatorio?

Didatticamente devo tutto al Maestro Marco di Meo. Andavo a lezione da lui privatamente. Diciamo che non ho mai creduto molto nella istituzione scolastica, se non come aggregante di idee e persone. L’insegnante è fondamentale.
Sono rimasto con lui molti anni e poi ho cercato di approfondire gli aspetti che più mi interessavano dello strumento. Fondamentali sono state per me le lezioni di Jacopo Martini, Massimo Morganti, Paolo Silvestri, Fabio Zeppetella… e molti altri nei vari percorsi didattici che ho fatto.
Anche se in realtà la cosa che più mi ha insegnato sono state le persone con cui ho suonato, i colleghi insomma… e li i nomi sono troppi per citarli tutti.
Ho cmq frequentato il Biennio specialistico in jazz al conservatorio Buzzolla di Adria (RO). Ne ho un ricordo bellissimo.

Quanto incidono i tuoi interessi extramusicali sulla tua musica?

La domanda dovrebbe essere rovesciata: quanto incide la mia musica sui miei interessi extramusicali.
Diciamo che oltre ad essere il mio lavoro, la musica è una grandissima passione. Difficilmente le mie giornate non sono scandite dallo studio o dall’ascolto di qualsiasi musica.
Sono fermamente convinto che però bisogna trovare dei momenti di “silenzio”, inteso come vero e proprio stacco da tutto quello che è impegno musicale.
È comunque difficile per me pensare alla quotidianità non in funzione della musica: gran parte delle mie amicizie sono legate al mondo musicale e quindi sempre li si va a ricadere.

Parliamo di didattica musicale: quali sono le caratteristiche che deve avere un buon insegnante?

A rischio di essere antipatico… l’insegnante non è un amico, almeno non durante la lezione. La cosa più importante che ha fatto per me il mio insegnante? Non dirmi MAI che avevo fatto un buon lavoro o che ero stato bravo (a parte una volta in cui veramente mi ero superato… sono passati 20 anni ma ancora me lo ricordo… eheheh!).
Quindi l ínsegnante deve mettere sempre benzina nel serbatoio, dare motivazioni e sfide all’allievo. E pretendere tanto… almeno da chi é veramente motivato.
L’insegnante dovrebbe sempre metterti in difficoltà, farti capire che se vuoi fare della musica un lavoro non puoi tralasciare nulla. Ricordo che spesso, a metà lezione e senza un apparente motivo, mi metteva sotto una progressione di accordi da accompagnare, o un pezzo da leggere a prima vista, o un giro su cui improvvisare. Era un ora molto faticosa ma che mi insegnava ogni volta che il mio lavoro non era finito. Andavo a casa e sapevo che nei giorni successivi mi sarei dovuto fare il culo. Non ringrazierò mai abbastanza il mio insegnante per questo.

Per essere più specifici un insegnante dovrebbe IMPORRE ad un allievo (seguendo indole e grado di impegno) la lettura musicale, cosa non sempre scontata per noi chitarristi;
l’accompagnamento (non è che possiamo fare sempre gli assoli di continuo… e soprattutto i chitarristi lavorano di solito per ACCOMPAGNARE… molti non considerano questo aspetto);
la tecnica: sono del parere che se hai una ottima tecnica ti puoi permettere di scegliere quante e quali note fare. Se hai una tecnica mediocre potrai SOLO ANDARE PIANO. Soprattutto la tecnica ti da tempo per pensare mentre non sei impegnato a controllare dei movimenti che diventano naturali con lo studio. La tecnica è un MEZZO di espressione: più la controlliamo più cose avremo da dire.
Se fosse per me farei solo tecnica a metronomo durante le lezioni ma poi molti genitori mi denuncerebbero! 

:)

E cosa deve fare un tuo allievo di chitarra per raggiungere i suoi obiettivi?

Deve intanto averli degli obiettivi, anche irraggiungibili (che so… suonare con gli AC/DC!!!). Ma tutto serve per alimentare la motivazione. Avere la voglia di alimentare il sogno di essere musicista, usarlo per sentirsi speciali e ricavarsi uno spazio che è solo tuo.
In parole più povere, sudare e piangere sullo strumento, mettersi sempre in discussione e pensare che puoi sempre fare di meglio, andare più veloce, essere più precisi. Mettersi in discussione insomma.

In che scuole insegni attualmente?

Insegno presso i corsi Conoscendo di Calcinelli e presso la scuola di musica Bettino Padovano di Senigallia.

Sei molto attento al suono ed alla strumentazione: ci puoi fare una panoramica dei tuoi strumenti (chitarre, effetti, amplificatori)?

Questa é la parte divertente!
Partiamo dal presupposto che ho strumenti molto specifici, non mi piace pensare di avere una cosa per tutto, anche perchè ogni strumento mi stimola cose e idee diverse.

Ho una Fender Stratocaster che ho mutilato e vivisezionato nel corso degli anni: penso tutt’ora che sia lo strumento più versatile e comodo mai costruito se parliamo di chitarre. Ci sono molto legato.

Poi negli anni mi sono innamorato del suono e della comodità delle chitarre Suhr. Sempre di simil-strato stiamo parlando, ma con una precisione e una qualità costruttiva eccellenti. Oltre al suono molto più preciso e definito delle strato di casa Fender… diciamo che hanno suono e specifiche molto più moderni.

Ho una Gibson 339 semiacustica, ottima chitarra per fare veramente di tutto.

Poi negli ultimi anni sono andato anche verso strumenti di liuteria made in Italy. Ho una Les Paul fatta da Romano Burini, liutaio di Osimo, che è veramente un ottimo strumento.

La chitarra da battaglia invece è una telecaster messicana pagata 300 euro ma che suona veramente da paura…

Gli ampli, dopo aver comprato e rivenduto praticamente di tutto, sono solo ampli artigianali. Costruiti da un grande amico e professionista imbarazzante di tutto quello che ha a che fare con la 6 corde, Lorenzo Augelli. Gli ampli sono i “Naughty Amps”e sono strumenti realizzati con cura maniacale, completamente a mano. Super affidabili, niente a che vedere con gli ampli “industriali” che purtroppo risentono del fatto che utilizzano componenti economici o schede prestampate per il montaggio.

Ne ho 2, un clone Marshall da 50 watt (plexi) e un combo tweed da 22 watt. Non ho trovato per ora alternative sul mercato con quel suono e quell’affidabilità.

Per quanto riguarda gli effetti uso un po’ di tutto… se devo puntare alla qualità e al feeling uso pedalini analogici. Mentre in studio o in casa non ho problemi anche a usare il digitale. Tanto oramai la differenza la sentiamo solo noi sotto le mani. Il 99% di chi ci ascolta non capirà mai se stiamo usando sistemi digitali (che hanno raggiunto livelli incredibili di suono) o i cari vecchi overdrive attaccati ad un ampli valvolare.

Per quanto riguarda il mondo acustico ho una bellissima Lakewood M32 che mi accompagna da ormai diversi anni. La utilizzo con un ampli AER. entrambi acquistati a prezzi ridicoli… penso che i vecchi proprietari si siano mangiati le mani…

Poi utilizzo una manouche costruita dal liutaio olandese Ger Boonstra. Strumento prezioso perchè ne ha realizzati solo 4 con quei legni e quelle caratteristiche. Bellissimo strumento, molto particolare, realizzato completamente in legno massello.

Raccontaci dei tuoi progetti musicali attuali e delle tue collaborazioni.

Attualmente ho lavorato tanto come side musician… vuol dire operaio… scherzi a parte ho collaborato negli ultimi anni con Matteo Borghi, cantante che lavora in tutti i più grandi locali italiani e che mi ha dato la possiblità di fare “il mestiere” del musicista, con viaggi lunghi e situazioni di palco molto impegnative ma condivise con altri ottimi musicisti.

Faccio parte della JUMBLE MUSIC, gruppo capitanato dal sassofonista Massimo Valentini con cui ho registrato un album e fatto numerosi concerti in giro per l’Italia e non solo (Brasile, Germania…).

Poi sto collaborando con Clarissa Vichi, cantante molto conosciuta nelle nostre zone, soprattutto nord Marche.
Sto anche lavorando su mie cose inedite e spero che presto avranno la luce!

Paolo Sorci e Clarissa Vichi - Scuoladimusica.org

Sei spesso su un palco a suonare con numerosi musicisti: come si conciliano le differenti personalità musicali?

Questo aspetto è stato sempre croce e delizia della mia vita musicale. Credo che conoscere molti generi sia da un lato molto importante e tanto stimolante: difficilmente mi stanco e ciclicamente rispolvero tutti i lati del mio chitarrismo, che effettivamente sono tanti.
Però credo fermamente che concentrarsi e andare a fondo in UNA cosa sia molto importante; è il modo migliore per arrivare al nocciolo e specializzarsi.


Diciamo che non essendo mai stato convinto di essere un fenomeno (la parola artista per me dovrebbe essere usata con attenzione, solo pochi al mondo la meritano come definizione. Per capirci: se Picasso é un artista non possiamo chiamare allo stesso modo il dilettante che fa i quadri impressionisti durante il finesettimana…) ho dovuto esaltare i lati che più mi avrebbero fatto lavorare e suonare. Mi ricordo molti brani, ascolto molta musica e ho veramente un vasto repertorio creato negli anni. Gli ascolti sono fondamentali e se uniti ad un buon orecchio, che ho sempre allenato negli anni, ti permettono di poter suonare in molte situazioni diverse.

Come vedi il panorama chitarristico italiano attuale? Ci sono chitarristi che ti hanno colpito particolarmente?

Sai, è veramente difficile rispondere. Preferisco avere altrove i miei modelli e le fonti di ispirazioni, noi siamo comunque una colonia statunitense per quanto riguarda le influenze musicali. Però abbiamo sicuramente tanti ottimi chitarristi.
Non considero i “fenomeni” di youtube o istagram: per me i musicisti devono stare sul palco e interagire con altri… non stare in una camera con una webcam… troppe volte ho visto i leoni da home recording diventare dei gattini spaventati se messi sul palco.
Se devo fare un nome un giovane che mi ha veramente ucciso è Matteo Macuso (figlio d’arte, il papà è stato un turnista): tecnica originale e impressionante. Poco più di 20 anni e linguaggio già maturo.

Come è nato il tuo libro “Django Reinhardt – Dalla chitarra manouche al grande jazz”?

Il libro è nato come tesi di laurea per il conservatorio. Poi grazie alla spinta del mio relatore, Simone Guiducci, grande chitarrista e a sua volta grande esperto e conoscitore di Django, è diventato un libro di analisi sullo stile e sul linguaggio.
Nasce cmq dall`amore verso la musica manouche e verso il più grande chitarrista della storia del jazz. Punto.

Django Reinhardt. Dalla chitarra Manouche al grande jazz - di Paolo Sorci

Un consiglio per chi volesse approcciarsi al mondo della chitarra manouche?

Cambiare completamente i metodi classici di studio. Intanto approcciarsi alla tecnica della mano destra sin da subito, vero scoglio della chitarra gypsy. E poi ascoltare Django e tirare giù il più possibile. Fare uno studio in cui concentrarsi sui particolari della pronuncia e del linguaggio. E` lì che sta la differenza. E poi ascoltare i grandi solisti della prima ora: Armstrong, Coleman Hawkins, Lester Young… Nasce tutto da lì.

Siamo nel 3050 e la tecnologia ci consente di parlare 1 minuto con il grande Django Reinhardt: ti viene data la possibilità di fargli una sola breve domanda. Cosa gli chiedi?

Suoniamo un brano insieme?

Prossimi concerti, magari proprio con i Welcome to the Django Quartet?

Per ora, siamo a fine estate, è tutto fermo e da organizzare. A ottobre sarò ancora in Germania con la JUMBLE MUSIC ed è la prima tappa di un anno che spero sia fruttuoso. Vi terrò aggiornati!

Grazie Paolo per il tuo tempo e per la tua disponibilità, a presto!

Grazie a voi e buona musica!

Chi vuole seguire Paolo Sorci in rete può farlo tramite i seguenti link:

https://www.facebook.com/paulmouses
https://www.facebook.com/conoscendocalcinelli
https://www.youtube.com/channel/UC0PWpM … g1Qxo1GmhQ
https://soundcloud.com/paolosorcigroup
https://www.instagram.com/paolo.sorci/

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